ABSTRACT

Nel corso delle mie ricerche sulle raccolte di poesia funebre del Cinque-e Seicento, ho avuto più volte l’occasione di notare a che punto esse siano legate a cenacoli culturali, ed in modo particolare alle accademie, che appaiono come il luogo privilegiato per la concezione di tali progetti commemorativi. Talvolta questo legame si spiega nel titolo stesso, come nel caso dell’Oratione del povero accademico Delio, da lui recitata nell’academia, in morte del sig. Gio: Francesco Mussato, stampata nel 1614.1 Più in generale, però, il ruolo svolto dell’accademia si manifesta solo a chi legge il testo con un po’ più di attenzione. La relazione pubblicata nel 1612 per i funerali napoletani della regina di Spagna, Margherita d’Austria, prima moglie di Filippo III, non menziona sul frontespizio la partecipazione della giovane Accademia degli Oziosi, ma insiste piuttosto sul nome del Viceré (Don Pietro di Castro) e su quello dell’autore della relazione (Ottavio Caputi).2 Basta però leggere la ‘Lettera al lettore’ che precede la Seconda Parte dell’opera per rendersi conto che i versi ivi raccolti sono da attribuire, oltre ai ‘Padri della Compagnia di Giesù’, agli Accademici Oziosi e Sileni, i cui componimenti poetici occupano in effetti buona parte dell’opera.3 In altri casi, la raccolta funebre permette di prolungare un’esperienza accademica prematuramente interrotta. Avendo notato la presenza d’innumerevoli autori dell’Accademia della Fama nella raccolta pubblicata a Venezia nel 1561 in occasione della morte di Irene di Spilimbergo, Antonio Corsaro ha parlato di ‘una forma di dissimulata prosecuzione dell’esperienza dell’Accademia, un tentativo cioè del suo gruppo dirigente di sopravvivere al forzato scioglimento in forme meno rischiose e appariscenti, con una operazione culturale ripiegata sul versante ancora praticabile della poesia’.4