ABSTRACT

È noto che, al romanzo, gli Incogniti guardarono con sollecitudine: in un vecchio saggio dedicato alla narrativa ‘libertina’ della celebre accademia veneziana, Albert Mancini sottolinea la notevole attenzione mostrata, da parte degli intellettuali del circolo, per un genere che appariva non solo svincolato dalle regole troppo ferree della tradizione, e quindi, indiscutibilmente, moderno, non solo legato ai meccanismi del mercato e al favore di un vasto pubblico, ma che era soprattutto capace di veicolare, attraverso la rappresentazione enfatica del passato, mascherate verità su un presente sfuggente, nonché sottoposto all’occhiuto controllo della censura, ecclesiastica e laica.1 Mancini individua diverse tipologie di narrazione romanzesca, che vanno da quella eroico-cavalleresca (la Dianea del Loredano) a quella più specificatamente di costume (la trilogia di Glisomiro del Brusoni), dalla ‘narrativa libellistica più audace’ ove trova sfogo una satira moraleggiante spinta all’eccesso (la Lucerna del Pona) fino alla biografia storica che attinge soprattutto da Tacito e dalla Bibbia.2 Soprattutto su quest’ultimo filone mi soffermerò, anche perché esso presenta una significativa predilezione per un personaggio generalmente negativo, di sesso femminile, affamato di potere e di avventure erotiche.