ABSTRACT

L'amore di cui parlano i poeti romanzi è generalmente l'amore-passione che lega un uomo a una donna o, meno spesso, un uomo e una donna insieme. L'amore cortese è una particolare declinazione di questo sentimento umano: con un suo galateo, un suo valore ideale, suoi motivi e termini caratteristici. Si sa che Dante dà di questo amore-passione un'interpretazione particolare: nella Vita nova, nelle Rime e poi nella Commedia l'amore per Beatrice si trasforma in culto, devozione per un essere soprannaturale: e ne derivano le ben note immagini della donna-angelo, della donna 'venuta di cielo in terra a miracol mostrare' (Vn, XXVI. 6, vv. 7—8), e infine, nella Commedia, dell'anima che siede 'con l'antica Rachele' (Inf., 11. 102) e parla coi santi e con gli angeli. Come anche si sa, però, non tutte le poesie d'amore di Dante sono per Beatrice: un amore-passione senza alcuna risonanza sacra si trova, per esempio, nelle petrose e nel ciclo per la pargoletta. E non in tutte le poesie che si possono ragionevolmente ricondurre a Beatrice il registro è quello del buon amore devoto di un sonetto come 'Tanto gentile' o di una canzone come 'Donne ch'avete'. Nelle pagine che seguono vorrei appunto richiamare l'attenzione su un paio di canzoni di Dante nelle quali si parla di amore in termini un po' diversi da quelli a cui le altre sue liriche, e la lirica antica in generale, ci hanno abituati: due — per così dire — strani modi di trattare il tema, sui quali mi sembra interessante riflettere per ciò che possono dirci sia a proposito di Dante sia a proposito della concezione dell'amore dei medievali paragonata a quella dei moderni.