ABSTRACT

Nel presente saggio tento di indagare il ricorso alle forme di trasmissione orale presenti nel terzo romanzo di Elsa Morante, La Storia, 1 in cui la comunicazione orale (orality) è distinta da quella mediata (literacy) rappresentata dalle fonti scritte e dai mezzi di diffusione. Anche se per tutto il romanzo la scrittrice ha chiaramente costituito come norma lo scritto, ella si richiama spesso alla particolare situazione del parlato. Ci si domanda allora quale può essere il significato del ricorso all'oralità nel contesto dell'intera produzione morantiana, delle sue opinioni e della visione del mondo che vi troviamo espressi. Si tratta di far prendere al racconto un crisma dell'oralità, e di creare un'apparenza della situazione comunicativa diretta? O, forse di rendere noto, a distanza di oltre due decenni, il proprio rifiuto della poetica neorealista con la sua falsa, stilizzata naturalezza, manifesta appunto nell'uso del dialetto e del parlato? Tale rifiuto ben s'iscrive nell'atteggiamento generale morantiano di sfiducia verso le poetiche di volta in volta imperanti, e in modo specifico verso quelle che presuppongono l'oralità stilizzata, il mio scopo sarà di dimostrare che l'oralità, presentata dalla Morante come smarrita dalla società contemporanea dei borghesi (cui la scrittrice stessa apparteneva ma che avversava come molti altri intellettuali italiani borghesi di sinistra del tempo), è un segno della nostalgia della condizione di vita e del mondo premoderni. Quest'ultimo, per quanto sembri irrecuperabile, viene tuttavia concepito come puro perché libero dalla tecnologia, dai mezzi di diffusione, e soprattutto dalla borghesia. Un simbolo del mondo premoderno che ne esalta i vantaggi, oltre all'oralità, diviene per la scrittrice anche la barbarie che (lungi dai connotati decadenti) è chiamata a rappresentare ne La Storia il polo opposto alla divinità bifronte dei borghesi: ragione pragma. Alla categoria dei barbari appartengono, infatti, i suoi principali protagonisti, Ida, Useppe, Vilma. La barbarie evoca uno stato ideale dell'umanità, anteriore alla civiltà e non ancora da questa contaminato, auspicabile innanzi tutto perché evoca una situazione di assenza delle forme di potere, dell'idealizzata anarchia, si configura come l'alternativa del Potere in genere. Così alla polemica anti-borghese e anti-tecnologica si affianca quella a carattere più propriamente politico.