ABSTRACT

Il primo agosto del 1213, a Cividale del Friuli, il miles Swicherio si reca presso il notaio Wolrico, allo scopo di far rogare il proprio testamento, giacché sta per intraprendere un pellegrinaggio in Terrasanta: “disponens peregrinationis causa sepulchrum Ihesu Christi visitare et iam in procinctu existens arripiendi itineris.”1 Pochissimo si sa della sua persona. Prima di quella data egli compare infatti, in qualità di semplice teste, in un atto rogato sempre a Cividale il 24 febbraio del 1212, con il quale Sofia, badessa del monastero di S. Maria in Valle, investiva di una terra di proprietà del cenobio i fratelli Iuan e Bussinut.2 Già allora si fregiava del titolo di miles. In uno dei primi mesi dell’anno successivo egli entra a far parte della ristretta cerchia dei consiglieri patriarcali. La testimonianza che registra la notizia pone però alcuni problemi interpretativi, benché non vi sia ragione di dubitare della sua autenticità. L’affermazione si trova nella Storia dei Patriarchi di Aquileia dell’erudito cividalese Marcantonio Nicoletti, membro di una stirpe di notai e notaio egli stesso, nato all’incirca nel 1536 e morto nel 1598. Nell’opera, pervenutaci in una bella trascrizione della fine del Settecento, opera del canonico cividalese e archivista del Capitolo, Giovanni Battista Belgrado, si dice genericamente, nel trattare questioni avvenute nel 1213, che il patriarca di Aquileia

e già vescovo di Passau, Wolfger di Erla, “tratto gl’occhi alle cure temporali, creò suoi consiglieri Vecelotto di Prata, Valterpertoldo, Giovanni, e Volframo di Zuccula, e Spilinbergo, Pileo di Moruzo, Andreotto di Udine, Suvichero, Egidio, Corado, Veciglio di Porzia, Giovanni, ed Ermanno de Portis, i quali oltre gl’altri deputati del Parlamento sostenevano tutti i negozii emergenti del Patriarcato.”3 Come si vede, nell’atto parafrasato dal notaio cividalese nulla si dice esplicitamente della stirpe di Swicherio. Certamente, comunque, il suo nome va accostato a quello di Veciglio di Porcia, giacché l’elenco raggruppa sempre le persone citate sulla base dell’ultimo nome, di cui si fornisce il cognome o il gentilizio: Valterpertoldo, Giovanni e suo figlio Volframo sono infatti membri della schiatta dei signori di Zuccola e Spilimbergo (e tutti e tre compaiono tra i convenuti al testamento di Swicherio), e Giovanni ed Ermanno sono entrambi membri della nobile famiglia cividalese dei de Portis (e del pari entrambi sono menzionati, come beneficiari, nel testamento di Swicherio). Inoltre, è tutt’altro che escluso che l’Egidio che lo segue immediatamente nell’elenco riportato dal Nicoletti ne sia il padre. Nel testamento del 1213, infatti, risulta che il “bone memorie pater antefati Swikeri” si chiamava appunto Egidio. Soprattutto, però, è da notare che due altri eruditi locali che citano questo passo del manoscritto del Nicoletti, vale a dire Giovanni Francesco Palladio degli Ulivi, che lo legge probabilmente in originale, e comunque non certo nella trascrizione a noi nota, giacché pubblica la propria opera nel 1660; e Francesco di Manzano, che invece lo cita esplicitamente dalla trascrizione del Belgrado, riportano il gentilizio di Vecelotto non come di Porcia ma come di Pertica.4 Ora, proprio nel testamento di Swicherio che si sta esaminando, oltre che in qualche atto del medesimo periodo,5 tra i testi compaiono proprio un Corrado de Pertica e un Wecilio de Pertica, qualificati entrambi come canonici della collegiata di S. Maria Maggiore di Cividale. Più che probabile, allora, che anche Egidio e Swicherio, forse padre e figlio, come si è detto, fossero membri della famiglia de Pertica. Una famiglia che deve il proprio nome alla località di provenienza: quel luogo Pertica,

dove sorgeva una chiesa intitolata a S. Stefano, di cui resta oggi chiara traccia nella via della Prepositura di S. Stefano, nel borgo S. Pietro della città, entro l’espansione muraria bassomedioevale. Si trattava di un luogo in origine cimiteriale, che richiama quelle antiche pertiche ricordate da Paolo Diacono come caratteristiche del culto dei morti longobardo.6 Non molti anni più tardi, attorno alla metà del Duecento, un ramo della famiglia mutò il proprio nome in quello più celebre di Boiani, con il quale attraversò onoratamente molti secoli di storia cividalese, sempre in posizione eminente nel ristretto nucleo del patriziato cittadino.7